“Fu in una tetra notte di novembre…”: la nascita di “Frankenstein” di Mary Shelley

Cercate un classico adatto a questo periodo? Be’, non potete non leggere Frankenstein di Mary Shelley, un romanzo decisamente cupo e tetro che ben si adatta al clima di novembre e la cui nascita nasconde una storia forse ancor più affascinante.

Tutti noi, in un modo o nell’altro, chi più e chi meno, sappiamo di cosa parla l’opera: della creazione di una creatura mostruosa, di un uomo artificiale creato assemblando letteralmente parti del corpo umano prese da diversi cadaveri. Si tratta di un romanzo a metà tra il genere horror e il genere fantascientifico, nato quasi per caso da una sfida tra amici, che affronta in modo molto particolare il tema del doppio, oltre a rispecchiare il senso dell’abbandono e di colpa con cui l’autrice stessa ha convissuto per tutta la sua vita.

Frankenstein è uno dei più famosi romanzi classici, scritto da una delle mie figure preferite della letteratura inglese: Mary Wollstonecraft Shelley.

Fonte: Wikipedia

Mary Shelley (1797-1851) era la figlia di due importanti personaggi dell’epoca: Mary Wollestonecraft, pioniera del femminismo, e William Godwin, affermato filosofo. Cresciuta ed educata in un ambiente letterario stimolante per una giovane ragazza nei primi anni dell’Ottocento, Mary non ebbe un vita semplice: a soli tre anni rimase orfana di madre e il padre si risposò presto con un’altra donna. Fin da piccola, Mary dimostrò di avere una grande immaginazione e si appassionò tanto alla lettura quanto alla scrittura. Uno degli eventi più importanti nella sua vita fu sicuramente l’incontro con Percy Bysshe Shelley, il quale frequentava spesso casa Godwin in quanto ammiratore delle idee di William Godwin.

Dal film “Un amore immortale”
Fonte: Wikipedia

Nonostante Percy fosse sposato e avesse già una figlia, i due, innamorati, fuggirono insieme, ma la situazione, dopo l’iniziale entusiasmo, si complicò in fretta: i soldi scarseggiavano, Percy non sempre la incoraggiava positivamente a scrivere. Mary ammirava Shelley, lo seguiva ovunque, ma lui era spesso distratto, non le dava attenzioni, la sminuiva; così Mary, ferita dal suo comportamento e dai diversi lutti che dovette affrontare (la morte della madre, il suicidio di sua sorella Fanny e poi della moglie di Percy, la morte prematura di tre dei suoi quattro figli) finì per chiudersi in se stessa ed era spesso malinconica e depressa, continuamente alle prese con i sensi di colpa e un senso di abbandono che non la lasciava mai. Dopo la morte di Shelley (1822), Mary si dedicò alla scrittura e, successivamente, alla revisione e alla pubblicazione delle opere del marito.

La figura di Mary Shelley è quella di una donna forte, devota all’amore per suo marito nonostante lui, invece, non le fosse devoto allo stesso modo; è la figura di una sognatrice, di una scrittrice che non ha mai abbandonato il suo sogno; di una donna che, sulla scia delle idee della madre, lotta per i suoi diritti e perché le sue opere siano pubblicate con il suo nome; una donna che lotta per emergere dall’ombra di suo padre e suo marito, stimati uomini letterari. Una donna che vive il dolore, lo affronta e, ogni volta, si rialza.

Ma torniamo al nostro Frankenstein: come nacque questo romanzo? È proprio Mary Shelley a raccontarlo, nella sua prefazione al libro del 1831.

Fonte: Wikipedia

Mary, figlia d’arte, desiderava scrivere un romanzo dimostrare a se stessa di essere all’altezza dei suoi genitori, ma non aveva idee. Percy, dal suo canto, non la spronava positivamente: lui non la incoraggiava a scrivere per gli altri, ma voleva che lei scrivesse in modo da poterla poi giudicare. Nell’estate del 1816 i due si trovavano in Svizzera in una casa di campagna insieme alla sorellastra di Mary, Claire; vicino a loro, a Villa Diodati, alloggiavano Lord Byron, altra figura di spicco della letteratura inglese, e John Polidori, un medico. Ben presto si ritrovarono tutti costretti a rimanere chiusi in casa a causa delle frequenti piogge, e trascorsero le lunghe e cupe giornate leggendo storie di fantasmi, finché Lord Byron ebbe la brillante idea di lanciare una sfida ai suoi amici, giusto per passare il tempo:

‘We will each write a ghost story’, said Lord Byron, and his proposition was acceded to. There were four of us.

‘Ognuno di noi scriverà una storia di fantasmi’, disse Lord Byron, e la sua proposta fu accettata. Eravamo in quattro.

Mary ebbe qui l’idea di scrivere una storia,

One which would speak to the mysterious fears of our nature and awaken thrilling horror – one to make the reader dread to look around, to curdle the blood, and quicken the beatings of the heart.

Una storia che parlasse dei misteriosi terrori della nostra natura e che ci svegliasse con brividi di orrore, una storia che avrebbe fatto temere al lettore di guardarsi alle spalle, che gli gelasse il sangue nelle vene e che gli accelerasse i battiti del cuore per la paura.

Mary immaginava una storia che fosse in grado di spaventare chiunque la leggesse, ma all’inizio faticò a trovare un’idea che fosse degna di ciò che lei stessa si aspettava di scrivere. L’ispirazione le arrivò poi durante le lunghe chiacchierate tra Shelley e Polidori, a cui lei assisteva senza intervenire: i due discutevano delle recenti scoperte nel campo della chimica e delle scienze naturali, in particolare erano interessati al galvanismo, alle teorie sul principio della vita e agli esperimenti di Darwin di ridare vita a dei lombrichi. Proprio questi discorsi le diedero la scintilla per la creazione del mostro:

I saw the pale student of unhallowed art kneeling beside the thing he had put together. I saw the hideous phantasm of a man stretched out, and then, on the working of some powerful engine, shows signs of life […]

His success would terrify the artist; he would rush away from his odious handwork, horror-stricken.

Vedevo lo studioso della scienza sacrilega, pallido, inginocchiarsi accanto alla cosa che aveva messp insieme. Vedevo l’orrenda forma di un uomo disteso che, con l’aiuto di una potente macchina, mostrava segni di vita. […]

Lo scienziato era terrorizzato dal suo stesso successo; in preda all’orrore, fuggiva via dalla mostruosa creatura che lui aveva realizzato.

Lo scienziato che Mary immagina sarà proprio Frankenstein: sì, in realtà Frankenstein non è il nome del mostro, ma quello dello scienziato: il mostro non ha nome! 

Dunque, durante quella piovosa, cupa, tetra estate, fatta di racconti dell’orrore e chiacchierate scientifiche, Mary decise di iniziare a scrivere il suo romanzo horror-gotico proprio con queste parole:

It was on a dreary night of November…

Fu in una tetra notte di Novembre….

che sono le parole che troviamo all’inizio del quinto capitolo di Frankenstein:

…that I beheld the acomplishment of my toils.With an anxiety that almost amounted to agony, I collected the instruments of life around me, that I might infuse a spark of being into the lifeless thing that lay at my feet. It was already one in the morning; the rain pattered dismally against the panes, and my candle was nearly burnt out, when, by the glimmer of the half-extinguished light, I saw the dull yelow eye of the creature open; it breathed hard, and a convulsive motion agitated its limbs.

…che vidi il compimento delle mie fatiche. Con un’ansia simile all’angoscia radunai gli strumenti con i quali avrei trasmesso la scintilla della vita alla cosa inanimata che giaceva ai miei piedi. Era già l’una del mattino; la pioggia batteva lugubre contro i vetri, la candela era quasi consumata quando, tra i bagliori della luce morente, la mia creatura aprì gli occhi, opachi e giallastri, trasse un respiro faticoso e un moto convulso ne agitò le membra.

Come vi avevo promesso, Frankenstein è davvero il romanzo giusto per novembre!

Spero che leggerete il romanzo se non lo avete ancora fatto e, se siete interessati a Mary Shelley, vi lascio il link al mio articolo in cui parlo del film che racconta la sua vita, Un amore immortale.


Fonti: Frankenstein, Shelley, Garzanti 1991 – Frankenstein, Shelley, Penguin, 1994 – appunti di letteratura inglese

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